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martedì 8 gennaio 2013

700 MILA SCHIAVI NELL'AGRICOLTURA ITALIANA








Caporalato e mafie: “700mila schiavi nell’agricoltura italiana” 

Il Flai-Cgil presenta il primo rapporto su un fenomeno che non tocca solo le regioni del Sud. Dietro il cibo che arriva sulle nostre tavole ci sono stagionali stranieri pagati 4 euro l'ora in condizioni fuori da ogni regola. E spesso sotto il controllo mafioso 

In Italia vive una popolazione di “invisibili”. Stranieri che lavorano nelle campagne, lontano dagli occhi dei centri abitati, spesso alloggiati in tuguri fatiscenti, sfruttati e mal pagati da caporali e imprenditori nostrani. Da nord a sud, il loro impiego nelle campagne è capillare. È anche grazie alle loro braccia se certi prodotti arrivano sulle nostre tavole, eppure la loro vita resta confinata nel silenzio.
Secondo il primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil, si tratta di circa 700mila lavoratori tra regolari e irregolari, di cui circa 400mila coinvolti in forme di caporalato. Braccianti che si riversano ogni anno nella campagne in arrivo da altre nazioni o spostandosi internamente, tra le regioni italiane, per soddisfare i picchi della produzione e della lavorazione di prodotti agro-alimentari su tutta la penisola. Spesso protagonisti, loro malgrado, di storie di vulnerabilità e sfruttamento, al limite della schiavitù.
NON SOLO SUD: SFRUTTATI DA BOLZANO ALLA TOSCANA. Diversamente da quel che si può credere però lo sfruttamento non riguarda solo il mezzogiorno, ma anche In tutti questi territori, come in Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, i ricercatori della Flai Cgil hanno scovato datori di lavoro e imprenditori che truffano o ingannano i lavoratori stranieri, non corrispondendo loro i salari maturati, o facendoli lavorare in nero, accompagnando il trattamento con minacce più o meno velate e forme di violenza psico-fisica (manifeste o paventate).
In Italia il mondo del caporalato si è evoluto, lo racconta nel rapporto Yvan Sagnet, portavoce dei braccianti che hanno organizzato lo sciopero di Nardò (Lecce) nell’estate del 2011 e oggi impegnato nella Flai-Cgil in Puglia: “Ci sono i caporali e ci sono i sotto-caporali. Perché i caporali non possono gestire tutto. Il caporale può avere quattro o cinque campi di raccolta e manda i suoi assistenti a gestire i lavoratori. Ha una squadra, ha gli autisti, degli assistenti, ha i cuochi. A Nardò c’era il ‘capo de capi’, era un tunisino. Poi c’erano altri caporali che lavoravano per lui. Nell’agro di Nardò erano tra 15 e 20 e controllavano tra i 500 e i 600 lavoratori”.
PAGHE DA FAME: 4 EURO L’ORA. Le paghe per i lavoratori sono però sempre da fame. “Un bracciante agricolo che lavora nelle campagne di Foggia in Puglia, a Palazzo San Gervasio in Basilicata o a Cassibile in Sicilia verrà pagato a cottimo, ovvero 3,5 euro il cassone (per la raccolta dei pomodori), mentre verrà pagato 4 euro l’ora nelle campagne di Saluzzo nel Piemonte, di Padova, nel Veneto o a Sibari in Calabria per la raccolta degli agrumi. Il tutto in nero, su intere giornate comprese tra 12 e 16 ore di lavoro consecutive a cui vanno sottratti: i 5 euro di tasse di trasporto, 3,5 euro di panino e 1,5 euro di acqua da pagare, sempre al caporale”.
MAFIA E RICICLAGGIO. A questa situazione di sfruttamento si somma la voracità dei gruppi mafiosi. Il caporalato, che è entrato nel codice penale solo nel 2011, è infatti un “reato spia” di infiltrazioni criminali nel settore. Una presenza significativa, ma ancora quasi del tutto inesplorata a livello giudiziario. Si stima che il giro d’affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10% di tutta l’economia mafiosa. Quasi tutto giocato tra la contraffazione dei prodotti alimentari  e il caporalato. Solo la contraffazione è cresciuta negli ultimi dieci anni del 128%, per un valore di 60 miliardi di prodotti che ogni anno vengono commercializzati nel mondo come falso Made in Italy.
“L’agricoltura è anche uno dei settori prediletti per il riciclaggio dei soldi dalle organizzazioni criminali tradizionali – scrive Yvan Sagnet – Ad esempio l’agricoltura foggiana subisce forti condizionamenti da parte della camorra. Durante la stagione agricola centinaia di camionisti partono quotidianamente dalla Campania verso le campagne foggiane, affittano le terre ai contadini con il cosiddetto fenomeno del “prestanome”, e trasportano la merce verso le imprese del salernitano”.
DAL CAMPO ALLA NOSTRA TAVOLA, LA FILIERA “INQUINATA”. Le mafie si occupano anche dei mercati dell’ortofrutta, infiltrando la grande distribuzione. “Le inchieste analizzate in quest’ultimo anno, svolte in particolare dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, hanno visto implicate imprese di tutto il sud Italia con ramificazioni anche nel nord del Paese e hanno disvelato l’esistenza di un sistema di gestione dei grandi mercati agricoli nazionali pesantemente influenzati dalle organizzazioni mafiose”, scrive nel rapporto Maurizio De Lucia, magistrato della Direzione nazionale antimafia.
Purtroppo neppure le nuove, e importanti, misure varate nel settembre del 2011 (introduzione del reato di caporalato) e nel luglio del 2012 (concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori), sono riuscite ancora ad incidere significativamente sulla grave situazione delle campagne. Eppure i dati rilevati sono già significativi. Da gennaio a novembre del 2012 sono 435 le persone arrestate per riduzione in schiavitù , tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi. Dall’entrata in vigore della norma che istituisce il reato di caporalato le persone denunciate o arrestate sono solo 42. La metà degli arresti al centro-nord.
COSTO DEL LAVORO E CRISI. “Parliamoci chiaramente, per gli imprenditori il costo del lavoro italiano è altissimo. Ciò non giustifica l’assunzione di personale in nero, ma è indubbio che questo fenomeno esiste proprio per sfuggire alle maglie di questo meccanismo, soprattutto in questa grave crisi”. Il Procuratore di Foggia, Vincenzo Russo, non usa mezzi termini. “È come l’evasione fiscale. Quanto più alta è la tassazione, tanto più i soggetti sono invogliati ad evadere. Questo è indubbio. Quindi, se il costo del lavoro diminuisse, probabilmente diminuirebbero anche questi fenomeni”.

          

Schiavi nei campi non solo al Sud: Tortona e Franciacorta tra i casi peggiori

La mappa dello sfruttamento nel primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai-Cgil. Al di là dei casi eclatanti come Rosarno e Foggia, gli stagionali stranieri lavorano in condizioni "indecenti" in Piemonte, Lombardia, Alto Adige, Emilia-Romagna e Toscana

Lavoro nero e caporalato sono fenomeni molto diffusi sul territorio nazionale, con particolari concentrazioni nel Mezzogiorno e in regioni del nord come Veneto, Alto Adige, Piemonte, Toscana e Lombardia. Secondo in queste zone ospitano una rete di sfruttamento della manodopera fortemente radicata e legata alla criminalità organizzata.
Nel Rapporto le situazioni territoriali sono classificate sulla base di tre valori. Sono ritenute buone le condizioni di alloggio decente, con orario e salario che rispettano il contratto nazionale e rapporti accettabili con il datore di lavoro. Sono classificate come indecenti/non dignitose le condizioni lavorative di chi vive in un alloggio precario, con orario e salario inferiore al contratto nazionale, rapporti inesistenti con il datore di lavoro, clima strumentale e di totale distacco. È infine classificato come gravemente sfruttato chi possiede solo un alloggio di fortuna, orario lungo, salario a cottimo, rapporti di lavoro mediati dal “caporale” a pagamento e clima di assoggettamento. Vive rapporti ingannevoli con il datore di lavoro, subisce false promesse e frode.
La ricerca condotta dall’Osservatorio ha coinvolto 14 Regioni e 65 province, e ha censito oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 sono risultati ad alto tasso di sfruttamento lavorativo.
PIEMONTE. In Piemonte sono state individuate condizioni di lavoro negative e molto negative nella provincia di Cuneo, Alessandria e Asti. La situazione peggiore è stata individuata nella provincia di Alessandria e in particolare nel distretto di Tortona, dove sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato e attività di sofisticazioni alimentari.(truffe/inganni per salari non pagati), nelle Langhe/Roero (caporali e contratti inevasi) e a Bra, nonché a Canelli e Nizza Monferrato.
Nella provincia di Asti sono state scoperte truffe e inganni per salari non pagati e contratti inevasi, come la presenza di caporali e intermediazione illecita diffusa  una vertenza contro le Ditte Lazzaro, che producono orticole per Grande Distribuzione.
Il 22 giugno 2012, 39 braccianti marocchini hanno scioperato contro le loro pesantissime condizioni lavorative. Grazie alla protesta e all’intervento dei carabinieri sono state scoperte le condizioni abitative di estremo disagio  cui erano costretti e la presenza di numerosi lavoratori in nero, di cui una parte senza permesso di soggiorno. L’attività dell’azienda è stata momentaneamente sospesa, ma alla sua ripresa per i lavoratori marocchini non c’è stato più posto.
LOMBARDIA. In Lombardia i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare ammontano a circa 21.600 unità (su un totale di occupati di poco superiore alla 100.000 unità), e si tratta prevalentemente di romeni e indiani (circa 6000 per nazionalità), seguiti dai lavoratori marocchini e albanesi. La provincia che occupa il maggior numero di lavoratori stranieri nel settore agro-alimentare è Brescia, con circa 6.200 unità.
Le condizioni di lavoro peggiori si registrano nella zona della Franciacorta e nei dintorni di Milano, Mantova, Pavia, Sondrio e Lecco. Ci sono caporali e dunque pratiche di sfruttamento derivanti da truffe/inganni sull’ammontare dei salari o delle ore lavorative, nonché da minacce e violenze psico-fisiche. Nella zona di Franciacorta si rilevano addirittura forme di lavoro gravemente sfruttato, assimilabile al lavoro para-schiavistico.
EMILIA-ROMAGNA. In Emilia Romagna, le zone in cui sono stati riscontrati casi di lavoro non dignitoso o para-schiavistico coincidono alla provincia di Ravenna, Cesena e Ferrara. A queste zone si somma la provincia di Rimini, dove sono state rilevate forme di lavoro considerate indecenti. Nel territorio di Cesena i lavoratori extracomunitari vengono spesso  costretti a pagare la richiesta del nulla osta con cifre che possono arrivare a 7.000 euro, per avere un contratto di lavoro con una garanzia di 51 giorni, (anche se in realtà ne lavorano oltre 200), e vengono retribuiti con paghe da 3-5 euro l’ora.
La Flai Cgil ha denunciato alle autorità alcuni titolari di imprese agricole senza terra, prevalentemente romeni, che reclutavano personale nel loro Paese d’origine e lo portavano in Italia noleggiando auto, pullman e persino aerei, per sfruttarlo all’interno dei magazzini ortofrutticoli e di grosse imprese agricole.
TOSCANA. In Toscana le aree dove si rilevano forme di lavoro indecenti e gravemente sfruttate sono i distretti di Val di Cornia e di Grosseto, dove non mancano segnalazioni di lavoro para-schiavistico. Gli occupati stranieri nel settore agro-alimentare sono 19.482 unità, di cui circa 6.000 romeni e 3.500 albanesi. Lo sfruttamento è caratterizzato dalla presenza di caporali (in Maremma e nell’Amiata). In alcune aree risultano esserci indagini in corso della magistratura per il contrasto dello sfruttamento lavorativo.
CAMPANIA. In Campania i lavoratori occupati nel settore agro-alimentare di origine straniera ammontano a circa 15.500 unità, su un totale di 134.598 unità, con una marcata prevalenza dei lavoratori romeni (circa 6.550). Sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato nell’area agro-alimentare di Napoli, con truffe e inganni per salari non pagati e impiego di caporali. La stessa situazione è stata rilevata a Caserta, con l’aggiunta di gravi sofisticazioni alimentari.
A Salerno le forme principali di sfruttamento che sono state individuate riguardano l’intermediazione illecita e il caporalato, entrambi molto diffusi. A questo si aggiungono anche gravi sofisticazioni nella filiera bufalina.
PUGLIA. In Puglia, le province dove i lavoratori immigrati sono più numerosi sono quella di Foggia (con 20.143 addetti, seconda solo a Bolzano) e Bari (con 6.500 unità circa). Le condizioni occupazionali delle province ad alta produzione agro-alimentare (Foggia, Lecce e Taranto) sono state classificate come decisamente negative, caratterizzate da lavoro para-schiavistico e pertanto da lavoro gravemente sfruttato.
Nella regione viene impiegata manodopera irregolare e caporali in qualità di intermediatori di manodopera. Sono state riscontrate anche truffe e inganni per salari non pagati e per contratti di lavoro inevasi. In Puglia sono state realizzate diverse azioni di contrasto al grave sfruttamento lavorativo e alle pratiche illecite di aggiudicazione degli appalti (con più sottoforniture), che costituiscono molto probabilmente il contesto in cui maturano diverse forme di sfruttamento.
La manodopera stagionale impiegata nella regione arriva da Napoli/Caserta, da Cosenza/Catanzaro e Reggio Calabria, nonché da Catania, Ragusa e Siracusa, ma anche dall’estero, Romania e Polonia.
CALABRIA. In Calabria i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare sono circa 21.500. I romeni e i bulgari sono i più numerosi, con 11.000 e 5.000 unità. Le province che li impiegano maggiormente sono Cosenza e Reggio Calabria, rispettivamente con 10.145 e 6.200 addetti. Entrambe le aree si posizionano in modo significativo anche a livello nazionale, in quanto rappresentano, l’ottava e la quindicesima provincia per numero di addetti immigrati.
Secondo il Rapporto, in Calabria le condizioni di lavoro agricolo sono complessivamente negative. Nel caso di Gioia Tauro/Rosarno poi, oltre ad essere indecenti, riproducono forme di lavoro paraschiavistico e servile. Fanno eccezione, in provincia di Reggio, i distretti di Militello e di Monasterace, in cui le condizioni di lavoro sono invece valutate sostanzialmente buone.

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